25 aprile. Il discorso del Sindaco Fulvio Centoz

Autorità civili, militari e religiose,

Membri dell’ANPI,

Rappresentanti delle associazioni combattentistiche e d’Arma,

Signore e signori,

ancora una volta, per il 73°anno, la comunità di Aosta si riunisce nella piazza intitolata al martire della lotta dall’oppressione nazi-fascista e ideologo dell’Autonomia valdostana, Emile Chanoux, per celebrare la Festa della Liberazione.

Quello che avvenne nel secolo scorso prima e durante il secondo conflitto mondiale in Valle d’Aosta, in Italia, in Europa, non può e non deve essere dimenticato.

È giusto prima ancora che doveroso – oltre che rispettoso di chi allora diede la vita per riconsegnare la libertà alla nostra Nazione – che non venga mai meno l’animo di voler onorare il 25 Aprile, e che da parte di tutti coloro in capo ai quali ricadono responsabilità, sia fatto sempre ogni sforzo possibile per coinvolgere la popolazione nel ricordo dei tragici fatti di allora, e di tutte le sofferenze che furono patite dai nostri connazionali prima di riuscire a riemergere dall’abisso nel quale la dittatura fascista e l’occupante nazista avevano sprofondato il popolo italiano, con la negazione della Libertà, della Democrazia e del Pluralismo.

Ma ciò che davvero è più importante di ogni altra cosa è che tale ricordo rimanga vivo attraverso le giovani generazioni. Per questo motivo è vitale che i ragazzi non restino lontano da queste celebrazioni, e che, attraverso le loro energie, i valori che ci sono stati tramandati dalla Liberazione fino ad oggi possano continuare a costituire la linfa vitale del tessuto democratico della nostra regione e del nostro Paese.

A tale proposito, non posso che rallegrarmi della presenza in questa sede dei giovani che hanno voluto portare testimonianza del frutto più nobile nato dalla lotta di Liberazione partigiana, quella Costituzione di cui quest’anno ricorre il 70° anniversario, e che abbiamo festeggiato nelle scorse settimane unitamente al nostro Statuto d’Autonomia.

Affinché ciò avvenga, affinché il solco tracciato dai ragazzi si allora possa essere raccolto anno dopo anno dai loro figli, nipoti e pronipoti, restano fondamentali non solo gli insegnamenti della scuola, ma anche gli interventi di tutte le associazioni e degli enti, molti dei quali presenti qui oggi, che continuano a svolgere azione di testimonianza anche con il coinvolgimento di coloro che hanno vissuto in prima persone quegli anni, essendo stati testimoni diretti delle vicende storiche che oggi commemoriamo.

Senza coscienza del passato, non vi è garanzia del futuro ed ecco che la memoria diventa la garanzia del non ripetersi degli errori che, soprattutto negli anni del secondo conflitto mondiale, hanno portato ad atrocità che, è l’auspicio di tutti, non devono ritornare mai più.

L’Europa uscita in macerie dopo la fine della seconda guerra mondiale ha saputo compiere una scelta di coraggio e di solidarietà, dando vita a una costruzione di popoli e culture prima ancora che di istituzioni e di regole che ha saputo unire sotto una medesima bandiera coloro che fino a pochi anni prima erano stati nemici sul fronte.

Le comunità europee e poi l’Unione Europea – con la messa in comune via via delle politiche produttive dell’industria pesante, di quelle agricole, monetarie e finanziarie – hanno dimostrato che che le volontà giudicate utopistiche dai più di alcuni grandi statisti e pensatori politici – da Alcide De Gasperi a Robert Schuman, da Paul-Henri Spaak a Konrad Adenauer, da Jean Monnet fino a Winston Churchill – potevano essere capaci di superare ogni ostacolo dovuto al pregiudizio, all’interesse di parte e all’inimicizia secolare, per dare vita a un periodo di pace e di generale prosperità per i popoli europei che si è protratto per oltre mezzo secolo, come mai era avvenuto prima nella storia del vecchio continente.

In questa giornata di festa che intende celebrare il ritorno alla libertà e all’unità del Paese, non dobbiamo, però avere avere timore o ritrosia nell’affermare ciò che appare con sempre maggior evidenza negli ultimi anni. La spinta propulsiva al benessere collettivo e alla realizzazione di un unione di tipo federale preconizzata da uno dei più grandi padri dell’Europa, Altero Spinelli, sta venendo meno.

Al riemergere di pulsioni nazionaliste e di egoismi locali, così come al ritorno alla chiusura delle frontiere, ai dazi delle dogane, alla limitazione della circolazione delle idee e della cultura, alla sempre maggiore costrizione delle libertà individuali che si salda in un connubio perverso con la difficile situazione economica di una fascia sempre più ampia della popolazione europea, eredità di un decennio di crisi, si affianca una situazione internazionale che conosce focolai di crisi sempre più diffusi e aspri.

Nelle ultime settimane il conflitto siriano che ha provocato in sette anni quasi mezzo milione di morti e 5 milioni di profughi ha conosciuto, se è possibile definirlo tale, un inasprimento che ha visto il ricorso ai bombardamenti missilistici da parte degli Stati Uniti, del Regno Unito e della Francia in risposta al presunto impiego di armi chimiche da parte del dittatore Assad e dei suoi alleati.

La Festa del 25 Aprile, di quella Liberazione che costituì la premessa di una nuova Italia democratica e pacificata e di una Valle d’Aosta finalmente autonoma all’interno del disegno repubblicano, deve essere l’occasione per ribadire che il ricorso alle armi non può mai essere considerato una risposta in grado di sostituirsi alla diplomazia nella risoluzione dei conflitti.

Una dichiarazione dal valore universale che ha voluto ribadire con vigore anche l’Assemblea comunale di Aosta non più tardi di sei giorni or sono, approvando un Ordine del giorno sulla crisi siriana, attraverso il quale il Consiglio “esprime solidarietà alle popolazioni colpite dalla guerra, deplora le iniziative militari che non coinvolgono gli organismi internazionali, e impegna l’Amministrazione comunale a promuovere in ogni sede la ricerca di una soluzione politica rispettosa del diritto internazionale, dei diritti umani e della Carta Onu”.

Una nuova Italia, libera, dove tornare a essere cittadini dotati di pari diritti e dignità di fronte alla legge; un Paese da ricostruire nella sua architettura politico-istituzionale prima ancora che nell’economia, improntata ai valori che erano stati rappresentati dai protagonisti della Resistenza e capace di proteggere i più deboli e gli inermi, promuovendo la pace all’interno delle istituzioni internazionali: questo è il lascito di valore inestimabile che le donne e gli uomini che combatterono contro il nazi-fascismo hanno lasciato alle generazioni successive di italiani.

Un’eredità che ha trovato la sua massima espressione con la Carta costituzionale – promulgata alla fine del 1947 in virtù del lavoro di quell’Assemblea costituente nella quale sedevano numerosi protagonisti della lotta partigiana e personalità insigni che avevano maturato gli ideali che sarebbero poi stati trasfusi all’interno della Carta lontani dalla vita civile, segregati in prigionia o al confino – riassunta in quei Principi fondamentali i cui primi articoli sono stati ricordati oggi dai nostri studenti. Quella Carta, la nostra Carta, sancì dandovi solide basi democratiche – una rinnovata identità e unità della nazione italiana e costituisce, oggi, la base del nostro vivere comune.

È un patrimonio che appartiene a tutti e vincola tutti.

Dalla Costituzione – che festeggia quest’anno il suo 70° anniversario – discende e trae la sua legittimazione anche il nostro Statuto di Autonomia che vide come relatore innanzi alla Costituente Emilio Lussu, protagonista della Resistenza, fondatore di “Giustizia e Libertà” e del “Partito d’Azione”.

È anche al convinto agire in senso autonomista dell’eminente uomo politico e scrittore sardo – convinto antifascista e, per questo, condannato al confino, e successivamente tra i protagonisti della Resistenza – che dobbiamo il riconoscimento della nostra identità nella forma che le ha dato lo Statuto sulla base dell’art 5 della Costituzione – per cui “La Repubblica riconosce e promuove le autonomie locali” – e del successivo articolo 6 che “tutela (con apposite norme) le minoranze linguistiche”.

Non è dunque senza motivo che, come ricordato poc’anzi, i massimi organi assembleari della regione – il Consiglio Valle e il Consiglio comunale della città di Aosta – hanno voluto con fermezza e in maniera unanime onorare il ricordo di Emilio Lussu attraverso l’intitolazione al suo nome dei Giardini pubblici di avenue du Conseil des Commis nel quadro dei festeggiamenti per il 70° dello Statuto d’Autonomia.

A 70 anni da quel 26 febbraio 1948 che vide la promulgazione dello Statuto speciale è oggi, più che mai, necessario interrogarsi sullo stato di salute della nostra Autonomia.

Purtroppo – parafrasando un aforisma di Ennio Flaiano – in Valle d’Aosta “la situazione politica è grave, ED è anche seria”.

La crisi economica ha lasciato un pesante strascico di natura istituzionale e anche di rappresentanza su cui si sono innestate difficoltà da parte della stessa classe politica a interpretare le mutate condizioni del quadro dell’azione amministrativa in relazione al quadro giuridico.

Ne è derivata una crescente sfiducia verso gli eletti che è il ritratto fedele di quanto sta avvenendo da alcuni anni a livello nazionale.

La frammentazione del quadro politico e le gravi difficoltà del Paese a ripartire sul piano socio-economico indeboliscono i partiti, e ne minano, di conseguenza, la stessa capacità di farsi cinghia di trasmissione tra i cittadini e Istituzioni secondo il disegno del dettato costituzionale.

Fioriscono così personalismi e movimenti anti-politici che certo non sono amici dell’Autonomia o che, nella migliore delle ipotesi, ne interpretano grottescamente l’essenza nel senso della chiusura all’altrui pensiero e cultura.

Così come auspichiamo possa avvenire in campo nazionale, in Valle d’Aosta il superamento della più grande crisi di sistema dalla promulgazione dello Statuto non può che passare dalla ricerca di una mediazione politica “alta”, riformista e quanto più possibile condivisa, che possa far ripartire il motore della nostra Autonomia, superando i protagonismi senza futuro e le posizioni più populiste e demagogiche, che stanno grandemente contribuendo a bloccare la nostra regione così come l’Italia.

C’è, bisogno, per concludere, di una visione “nuova” ma radicata in profondità nella nostra cultura e specificità, improntata allo slancio creativo ma anche caratterizzata dalla lungimiranza politica: lo spirito di un nuovo Comitato di Liberazione Nazionale, per tornare al tema dell’odierna celebrazione, nel quale i differenti interessi siano contemperati alla ricerca di un fine ultimo più importante e decisivo.

Come all’interno del CLN i protagonisti della politica italiana di allora, usciti da un ventennio di dittatura, furono in grado di costituire un fronte comune dinanzi a un Paese da ricostruire ex novo pur provenendo da percorsi in massimo grado eterogenei ed essendo portatori di valori talvolta molto distanti, così oggi è essenziale guardare al futuro con il medesimo spirito dei padri dell’odierna Repubblica, in una prospettiva costituente che rappresenta forse una delle ultime possibilità per orientare di nuovo in senso progressista il corso della nostra storia, dimostrando vieppiù che – per tornare a parafrasare Ennio Flaiano – “gli italiani NON sono irrimediabilmente fatti per la dittatura”.

W la Libertà!

W il 25 Aprile!

W la Valle d’Aosta!

#antifascistisempre

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